Ma che si fa, oltre agli scongiuri, se i ripetuti terremoti che stanno scuotendo l’area flegrea riproporranno una emergenza bradisismo come quella verificatasi nel 1982-83? Vale la pena di porsi questa domanda davanti all’inesistenza di un qualsiasi Piano di Protezione civile predisposto per affrontare questo tipo di emergenza. Date una occhiata, ad esempio, all’immagine di copertina: indica le “aree di incontro” dove gli abitanti di diversi comuni flegrei e di quartieri di Napoli dovranno congiungersi con i propri familiari per raggiungere le “regioni di destinazione”. Dove, ovviamente, assolutamente NULLA (neanche l’identificazione dei comuni di destinazione) è stato predisposto per accoglierli.
Ma, poi, perché mai disseminare 700.000 persone in 19 regioni italiane?
Se l’esigenza è quella di allontanare i profughi durante la fase più violenta dell’eruzione, che dura, al più, pochi giorni, perché localizzarli in aree così lontane e non localizzarli temporaneamente, poniamo, in aree immediatamente a ridosso dell’area a rischio? Se si ipotizza, invece, che l’eruzione distruggerà il territorio, perché disperdere le popolazioni flegree in tutta Italia e non pensare già da oggi ad un loro reinsediamento in aree più vicine, dove sarebbe possibile ricostruire i rapporti sociali, lavorativi, familiari distrutti dall’eruzione?
Ma poi, siamo sicuri che il bradisismo evolverà in una eruzione? Nel 1982-83 questo non si è verificato e sarebbe stato il caso, quindi, di predisporre per l’area flegrea non solo un “Piano di evacuazione” ma un Piano di emergenza finalizzato a garantire la permanenza della stragrande maggioranza della popolazione nell’area. Come? Già nel 1983, nonostante l’assenza di qualsiasi direttiva della Protezione civile e del Comune di Pozzuoli qualcosa fu proposto nelle numerose assemblee che si svolsero nell’area insieme ai vulcanologi dell’Osservatorio Vesuviano.
Intanto, sviluppare una capillare campagna di informazione che evidenzi come, nei Campi Flegrei, bradisismo e terremoti non sono inevitabili prodromi di una eruzione, ma fenomeni con i quali le popolazioni hanno convissuto per più di duemila anni. La stessa paventata eruzione dovrebbe essere vista nella sua giusta luce: come quella di Monte Nuovo del 1538, un fenomeno prevedibile e non immediatamente distruttivo e che, quindi, potrebbe permettere un ordinato allontanamento della popolazione. Un altro fondamentale punto riguarda la messa in atto di misure di protezione civile. Ad esempio, informando la popolazione su come comportarsi durante e immediatamente dopo un terremoto e attrezzando per essa aree sicure; organizzare i dipendenti comunali e di altri enti locali con un piano di protezione civile che veda l’affidamento di un compito specifico per ognuno di essi immediatamente dopo il sisma. Per quanto riguarda l’eventualità di una evacuazione, sarebbe stato opportuno allontanare subito dai Campi Flegrei non già tutta la popolazione ma, in quella fase, solo alcune fasce di popolazione (handicappati, anziani senza famiglia, malati gravi…) il cui allontanamento in situazione di reale emergenza avrebbe potuto comportare gravi problemi. Bisognava, poi, affrettare i tempi di una indagine di vulnerabilità edilizia; abbattere subito quegli edifici che avrebbero potuto costituire un pericolo durante un sisma e che ingeneravano e amplificavano il senso di minaccia ambientale; limitare la circolazione veicolare… insomma cancellare quella percezione di “trappola per topi” che, durante la crisi sismica, si viveva in molti quartieri.
Tutti elementi assolutamente assenti nella cosiddetta “Pianificazione dell’emergenza per i Campi Flegrei” che scandalosamente, – tra annunci, consulenze, commissioni, fiumi di carte e di chiacchiere, scaricabarile…. – si trascina dal 2001 senza aver ancora prodotto nessun Piano degno di questo nome.
Sui perché di questa situazione (e come superarla) leggete qui o qui.
Francesco Santoianni